Don Verzè non badava ai mezzi. E si è visto

Don Verzè non badava ai mezzi. E si è visto

3 gennaio 2012

Il 2011 porta tra i suoi defunti nomi importanti e come sempre di alcuni si sentirà la mancanza, di altri meno, di alcuni si parlerà nei libri di storia, di altri non se ne parlerà più. Il 31 dicembre chiude la rosa dei nomi il novantunenne prete-imprenditore don Luigi Verzè che, arrivato per ultimo, ruba la scena a tutti gli altri facendo parlare di sé per i motivi più svariati.

Ieri si è celebrato il suo funerale a Illasi (VR) davanti a un migliaio di persone. Il vescovo di Verona, Giuseppe Zenti, che ha presidiato la funzione, ha dichiarato che don Luigi era «solitario come tutti i geni», ma ha aggiunto: «Quando mirava a un obiettivo […] non badava ai mezzi, pur di conseguirlo». Ha ragione monsignor Zenti, non badava ai mezzi don Verzè, anche quando questi prevedevano corruzione, amicizie poco raccomandabili, spese folli. Per don Verzè tutto è stato sponsorizzato dalla Divina Provvidenza. Usava dire: «Io vado avanti. Se la Provvidenza mi segue, continuo ad andare avanti. Finora mi ha sempre seguito». Forse non si è girato a controllare se era proprio la provvidenza quella che lo seguiva mentre acquistava un jet privato, costruiva una cupola da 200 milioni di euro, un ufficio da 4 (con dentro uno zoo), ville in Costa Smeralda o aziende agricole di frutta esotica in Brasile. Non badava ai mezzi e forse non li sapeva neanche usare così bene, se la Fondazione San Raffaele ora sta fallendo.

Don Verzè quaranta anni fa aveva creato il fiore all’occhiello della ricerca e della sanità italiana, un Policlinico formato dai migliori medici e un’ottima Università, che ora invece si trova sulle spalle un debito da 1 miliardo e mezzo di euro. Tangenti, abusi edilizi, sprechi ingiustificati stanno venendo inesorabilmente a galla. Mario Cal, braccio destro di don Verzè, è stato promotore del crac finanziario della Fondazione e per questo si è suicidato lo scorso luglio. Pierino Zammarchi, il costruttore di fiducia del gruppo San Raffaele, assolto da poco dall’accusa di prestanome del camorrista Enzo Guida, ora è indagato per sovrafatturazione assieme ad altri imprenditori. Sono coinvolti anche uomini d’affari, come Daccò, che risultano essere beneficiari del denaro occulto. Le accuse sono di bancarotta fraudolenta e società a delinquere.

Poiché le fondazioni senza fini di lucro non hanno l’obbligo di presentare bilancio, le banche e i fornitori hanno prestato credito senza conoscere la reale situazione finanziaria. E’ singolare che una fondazione con struttura societaria come il San Raffaele, che ha sotto di sé una miriade di società partecipate, possa godere degli stessi vantaggi di una fondazione che fa beneficenza. E’ assurdo che la Fondazione, che riceve più di ogni altro Istituto di Ricerca finanziamenti pubblici e privati, non riesca a sbarcare il lunario. Non ha un buon curriculum don Verzè, eppure Nichi Vendola fino allo scorso luglio, cioè prima che esplodesse il caso sulla bancarotta, voleva far chiudere due ospedali pubblici per far aprire un San Raffaele (di fatto privato) a Taranto. Ovviamente a spese dei contribuenti.

Lo Stato italiano è stato spesso finanziatore delle opere di Verzè. Ad esempio, tra la fine degli anni 80 e l’inizio degli anni 90, durante i governi Craxi e Andreotti, furono elargiti 17 miliardi di lire per la fondazione del San Raffaele a Salvador de Bahia, in Brasile, ospedale che risulta filantropico – e quindi gode dell’esenzione dalle tasse – ma in realtà è privato. Di recente la Simest, società controllata al 76% dal Ministero dello Sviluppo Economico italiano, compra il 31% della VDS, fazenda brasiliana di don Verzè, che produce ed esporta mango e uva senza semi. Una delle ultime delibere del caro ministro Scajola. Chissà se anche queste imprese cadranno in bancarotta? Sarebbe interessante saperlo visto che i vizi e le idee geniali di don Verzè sono anche a carico nostro.

Quando si è saputo della morte di don Verzè alcuni cinici si sono quasi rallegrati, pensando ad una forma di giustizia. Non c’è nulla da gioire, invece, perché non sapremo mai cosa c’è dietro le amicizie con Pollari e Pompa dei servizi segreti, con Berlusconi e gli affari poco chiari dell’edilizia milanese degli anni 70 e di oggi, i dubbi sugli appalti da parte di Formigoni. Non vedremo mai una reale giustizia per la bancarotta fraudolenta del San Raffaele visto che i principali responsabili sono morti, uno per cause naturali e uno per vigliaccheria. E, visti i progetti della Provvidenza, non c’è da sperare neanche nella giustizia divina.

Il vecchio don Verzè rappresenta insieme la Prima e la Seconda Repubblica, la Chiesa e lo Stato, l’italiano medio e l’alto borghese, l’inciucio nel pubblico e nel privato, il lusso e la miseria. In pratica,ci rappresenta tutti. Alla luce del fallimento del modello don Luigi Verzè, un incrocio tutto italiano tra don Camillo, Al Capone e l’Uomo del Monte, non ci resta che scrollarci di dosso questa cultura corrotta, clientelare e priva di prospettive. Vista la fine misera che riserva, sarà forse ora di provare strade nuove?

di Sara De Santis

da Cronache Laiche