Quando il nemico è in famiglia

Quando il nemico è in famiglia

13 marzo 2012

La politica in questi giorni si scontra animatamente sul tema della famiglia, discutendo su quale combinazione di generi sessuali abbia più diritto a formare il nucleo familiare. Così, tra famiglia tradizionale, di fatto e omosessuale, si divide nettamente in previsione delle prossime elezioni, trascurando il particolare che forse gli italiani non ritengono che sia questo il problema che affligge il nostro Paese. Almeno non in questo momento.

Se proprio si vuol parlare di famiglia, allora sarebbe opportuno discutere della grave disfunzione che ipocritamente si tende a nascondere, cioè la violenza all’interno della famiglia. La violenza domestica, che può essere fisica, psicologica, sessuale e economica, è parte integrante della nostra cultura, tanto quanto il modello della “sacra” famiglia. Contrariamente a quanto si pensi, è molto diffusa, a volte ne parlano i giornali, più spesso ne parlano i vicini di casa, altre volte si viene a conoscenza di fatti scioccanti da confidenze private. Solo le vittime, se maggiorenni, possono sporgere denuncia e difficilmente accade. I motivi sono diversi, principalmente culturali e psicologici. A volte non si capisce che si sta subendo violenza, per esempio quando si tratta di violenza psicologica, più spesso se ne ha una consapevolezza chiara, ma manca il coraggio di denunciare per non compromettere il rapporto con il carnefice, per paura di ripercussioni, per vergogna o perché si pensa di essere colpevoli. In linea generale non sono corrette o mancano del tutto informazioni sull’assistenza che si può ricevere, come quella medica, giudiziaria e psicologica.

La Asl 4 di Prato, che da gennaio 2012 partecipa alla sperimentazione del progetto regionale“Codice Rosa”, ha registrato 39 casi di violenze in famiglia in soli due mesi, cioè una media che va oltre una vittima ogni due giorni. La maggioranza sono donne, ma sono stati registrati anche casi di due uomini, tre bambini e un adolescente. Lo sportello, costituito da professionisti di diverse discipline (medici e infermieri del Pronto Soccorso, ginecologi, psichiatri, psicologi, pediatri e assistenti sociali), cerca di garantire la massima tempestività per l’accoglienza, l’assistenza e la cura delle vittime di violenza. La Procura e le Forze dell’Ordine condividono con il personale sanitario tutte le iniziative per la presa in carico della vittima.

Le donne sono le principali vittime di violenza e proprio a pochi giorni di distanza dalla Giornata internazionale della Donna, alcune notizie di cronaca ci ricordano perché non è appropriato parlare di “festa” della donna. Una ragazza di Eboli, da quando aveva 13 anni, subisce violenze fisiche e sessuali da parte del padre. Dopo sette anni, sostenuta dal fidanzato, oggi ha deciso di sporgere denuncia. I Carabinieri e la Procura di Salerno sabato scorso hanno arrestato il padre e anche la madre, che era a conoscenza delle violenze, ma non ha protetto la figlia né denunciato il marito, quindi è accusata di complicità omissiva. Le indagini sono state aperte un mese fa e da allora sono state raccolte numerose prove e testimonianze che hanno portato all’arresto dei genitori della ragazza.

Ieri, in Pakistan la giovane Nabila è stata arrestata perché ha gettato dell’acido sul viso delfidanzato Mohshin, il quale da tempo la violentava e la umiliava vantandosi con gli amici della natura del loro rapporto. La ragazza esasperata ha reagito alla violenza punendo il fidanzato nello stesso modo in cui generalmente in Pakistan vengono punite le donne, deturpando il suo volto con l’acido. Nabila adesso rischia l’ergastolo ed è l’unico motivo per cui le violenze che ha subito hanno fatto notizia.

E’ impressionante come il Pakistan, che notoriamente giudichiamo un Paese distante dalla nostra cultura, in questo caso sia particolarmente affine. I casi di denuncia debbono farci riflettere e discutere e soprattutto devono essere resi noti per dare coraggio e speranza a tutti coloro che quotidianamente sono chiusi nella prigione della propria famiglia, convinti di non poterne uscire. Ospedali, associazioni, centri antiviolenza danno quotidianamente assistenza tramite sportello o numero dedicato 24 ore su 24. Spesso ad essi sono legati avvocati e psicologi molto competenti che offrono prestazioni professionali gratuitamente.

Il primo passo verso la soluzione è uscire dal silenzio.

Sara De Santis

da Cronache Laiche