Don Seppia pedofilo. La conferma della sentenza

 

Don Seppia pedofilo. La conferma della sentenza

5 maggio 2012

E’ stato condannato a 9 anni e mezzo di carceredon Riccardo Seppia, ex-parroco della chiesa Santo Spirito di Sestri Ponente, in provincia di Genova. A distanza di un anno dal suo arresto, il tribunale di Genova nel processo con rito abbreviato ha emesso la condanna, con l’accusa di violenze sessuali su minori e cessione di sostanze stupefacenti. A parte il possesso di materiale pedopornografico, sono state confermate tutte le altre accuse formulate dal pubblico ministero. Condanna a 4 anni, 2 mesi e 20 giorni per la violenza al chierichetto e la tentata violenza al ragazzo albanese, entrambi minorenni. Altra condanna di 4 anni e 8 mesi, più 26 mila euro di penale per l’offerta di droga a minori. Infine, 8 mesi di reclusione e 2 mila euro di multa per cessione di cocaina all’ex-seminarista Emanuele Alfano, anch’egli imputato per induzione alla prostituzione minorile.

La pedofilia scandalizza e ferisce sempre, ma il contesto indubbiamente aggrava la percezione di chi la subisce, direttamente e indirettamente. E’ insopportabile l’accettazione della pedofilia da parte degli adulti, che abitualmente condividono con figure educative, tipo l’insegnante, l’allenatore, il sacerdote, la formazione dei propri figli. Nel nostro Paese nella maggior parte dei casi i bambini crescono in parrocchia, dove studiano la catechesi, si approcciano allo sport o alla musica, apprendono i valori cristiani, emulano i modelli di riferimento, in primis i preti. I genitori spesso seguono lo stesso cammino spirituale. Sono intere famiglie, i nuclei principali della società, a creare comunità attorno alla parrocchia. Chissà come si saranno sentite le famiglie di Sestri Ponente quando hanno collegato il don Seppia pedofilo al don Seppia parroco. Lo stesso che in occasione del 25° anniversario di sacerdozio, ha detto di essere un prete «rinnovato nello spirito, più paziente, più accogliente, più fedele agli impegni, più attento alle situazioni di fragilità, più vicino ai giovani, più presente sul campo del quotidiano faticoso delle famiglie» e, sembra paradossale, ma ha anche aggiunto che «dietro al sacerdote vediamo la moltitudine di anime che egli è chiamato a salvare e a santificare. La salvezza del mondo sta appunto nei sacerdoti».

Sappiamo che un medico genovese nel 1994 aveva accusato don Seppia di aver fatto telefonate oscene ai propri bambini e che molti genitori hanno cambiato parrocchia – non metaforicamente – a causa delle voci che correvano sul parroco. Sappiamo oggi con certezza che don Seppia è un prete pedofilo. Le accuse, più o meno velate, corrispondevano al vero. Possibile che l’arcivescovo di Genova Angelo Bagnasco non abbia sentito anche lui queste chiacchiere prima dell’arresto? Non gli è venuta la curiosità di verificare? E a proposito di Bagnasco, dov’è lo sportello antipedofilia di cui aveva parlato nei giorni caldi di Sestri Ponente? E cosa ne è stato dell’indagine previa, l’indagine parallela della Curia vescovile e delle decisioni che poi avrebbe dovuto prendere l’ufficio interno alla Congregazione Dottrina della fede? Come mai in un anno la giustizia terrena ha fatto il suo corso e quella ecclesiastica non ancora? La scelta tra le cosiddette pene medicinali, le pene espiatorie e addirittura la scomunica, quando sarà resa pubblica?

Non se la prenda monsignor Bagnasco, arcivescovo di Genova, responsabile della diocesi di Genova e presidente della Cei, se gli vengono poste domande dirette, quasi in modo inquisitorio. Sono domande lecite fatte a chi un anno fa rassicurava i fedeli e si metteva giustamente dalla parte delle vittime. Quelli di cui si vociferava nel maggio scorso, dovrebbero essere provvedimenti doverosi da parte della Chiesa nei confronti di un pastore che ha importunato e violentato bambini e ragazzi, ha usato e offerto droga, ha indotto alla prostituzione, ha bestemmiato (sic!), ha tradito un’intera comunità e offeso i valori cristiani o quantomeno quelli universalmente condivisi.

Se fossimo un Paese che ha cura dei propri cittadini, ci comporteremmo come in Irlanda dove – il caso vuole, proprio nello stesso giorno della condanna di don Seppia – il vicepremier Eamon Gilmore ha chiesto ledimissioni del primate d’Irlanda, il cardinale Sean Brady. Un documentario trasmesso dalla BBC “La vergogna della Chiesa Cattolica” ha svelato che Brady negli anni 70, durante un’indagine richiesta dalla Chiesa irlandese, aveva tenuto segrete le informazioni sulle numerosissime violenze sessuali perpetrate dal sacerdote Brendan Smyth. Nel 1997 Smyth è stato condannato a 12 anni di reclusione. Anche in questo caso, le voci di corridoio erano fondate.

Viste le acque in cui naviga la Chiesa Cattolica, forse sarebbe opportuno cominciare a dare una significativa sterzata. Se non altro per non continuare a smarrire pecore del gregge non particolarmente avvezze al sacrificio dei propri agnelli.

Sara De Santis

da Cronache Laiche